Il ruolo della finanza nella crescita delle piccole imprese

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La teoria economica ci insegna che un sistema finanziario diversificato e un’equilibrata composizione delle fonti di finanziamento delle imprese possono contribuire in modo efficace alla crescita dell’economia. Le politiche pubbliche, nazionali e comunitarie, possono svolgere un ruolo fondamentale di stimolo al cambiamento, se intervengono efficacemente sulle distorsioni della regolamentazione e forniscono i corretti incentivi agli operatori del settore privato.

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L’intervento di Luigi Signorini

Il 4 novembre 2015 all’Università degli Studi di Trento il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini ha tenuto un intervento dal titolo “Sulla crescita delle piccole imprese: il ruolo della finanza”.

L’intervento ha preso le mosse dalla constatazione delle caratteristiche peculiari della struttura del sistema produttivo italiano, che, com’è noto, è formato per la quasi totalità da micro, piccole e medie imprese.

Nel corso degli ultimi anni, il nostro sistema industriale ha assistito a numerosi cambiamenti, dagli anni Sessanta alla globalizzazione, fino ai giorni d’oggi, in cui la digitalizzazione si sta diffondendo e sta mutando in maniera permanente tutti i processi produttivi, puntando sempre di più all’innovazione sia a livello di prodotto che di processo.

“I vantaggi relativi della piccola e grande dimensione non sono né fissi né immutabili, quello che conta è che la struttura produttiva sia capace di reagire con prontezza ai mutamenti competitivi. In questo senso vi è una responsabilità pubblica: se ci sono freni od ostacoli all’adattamento della struttura produttiva, è bene cercare di rimuoverli”

In Italia sono ancora troppo poche però, le imprese che intraprendono percorsi di crescita ed espansione. I fattori che inibiscono la capacità di crescita delle aziende sono molti e interconnessi tra loro. Alcuni di questi possono essere elementi come la preponderante natura familiare della proprietà, oppure il contesto istituzionale che contribuisce con gli elevati oneri burocratici, la complessità della regolamentazione e delle procedure amministrative e le inefficienze del sistema giudiziario.

“Per le piccole e medie imprese italiane il legame tra finanza e crescita non sembra essere (principalmente) di natura quantitativa, ma qualitativa. Non è l’ammontare assoluto di risorse disponibili, ma la loro composizione a segnare la differenza”

Secondo Signorini esistono due modi principali per incidere sul modello di finanziamento delle PMI: misure dirette a cambiare gli incentivi delle imprese e interventi sulla struttura del sistema finanziario.

Gli incentivi delle imprese

In Italia, dato il peso elevato dell’imposizione fiscale, la deducibilità delle spese per interessi ha sempre incentivato gli imprenditori a ricorrere al debito piuttosto che al capitale di rischio. Le maggiori aliquote fiscali contribuiscono a spiegare una parte non trascurabile – circa un quarto – dello sfavorevole divario di leverage rispetto agli altri paesi europei.

La neutralità fiscale rispetto alle scelte di finanziamento è stato un obiettivo perseguito in modo intermittente dal legislatore italiano negli ultimi due decenni.

Dopo i tentativi di metà anni novanta con il regime del Dual Income Tax, nel 2008 sono stati adottati limiti alla deducibilità degli interessi passivi nelle società di capitale.

La difficoltà di trovare efficaci meccanismi per tutelare gli investitori esterni e la volontà degli imprenditori di mantenere il controllo dell’azienda nel ristretto ambito della famiglia concorrerebbero a determinare un preferenza sistematica per il ricorso al debito anziché al capitale di rischio.

Interventi sulla struttura del sistema finanziario

L’altra grande direttrice del cambiamento del modello di finanziamento delle PMI riguarda lo sviluppo della finanza non bancaria, ovvero nuovi mercati e nuovi finanziatori.

Il rafforzamento dell’offerta di fondi non bancari è stato perseguito anche con l’introduzione di incentivi fiscali per gli investitori e, più di recente, con l’abbattimento di alcune barriere regolamentari che consente il coinvolgimento di nuovi attori nel finanziamento del sistema produttivo.

…e il mercato europeo?

In un mercato finanziario che tende verso una crescente integrazione con quello degli altri paesi europei, le politiche nazionali devono necessariamente coordinarsi con progetti comunitari.

Quelle che le imprese tengono poco in considerazione è che, oltre ai finanziamenti privati (bancari e non), possono avvalersi di finanziamenti pubblici (nazionali ed europei).

L’Unione Europea ha infatti stabilito 5 obiettivi strategici per il ciclo di programmazione 2014-2020 che riguardano l’occupazione, la ricerca e sviluppo, il clima e l’energia, l’istruzione, l’integrazione sociale e la riduzione della povertà.

Per raggiungere gli obiettivi strategici di Europa 2020, l’UE mette a disposizione degli Stati Membri due tipologie di strumenti finanziari, quelli a gestione indiretta, detti anche Fondi strutturali, e quelli a gestione diretta, che comprendono i finanziamenti diretti UE (detti anche programmi tematici o programmi comunitari) e gli strumenti finanziari per l’assistenza esterna.

Finanziamenti privati o finanziamenti pubblici?

In definitiva, perché un’impresa dovrebbe avvalersi dei fondi pubblici al posto di quelli privati? Sicuramente perché i vantaggi derivanti dall’utilizzo di finanziamenti pubblici sono molteplici.

I Contributi a fondo perduto possono essere utilizzati dall’impresa per realizzare investimenti o sostenere costi mediante l’erogazione di capitale del quale non è richiesta restituzione.

I finanziamenti a tasso agevolato consentono un abbassamento del costo del credito per l’impresa che beneficia di tassi di interesse inferiori rispetto a quelli richiesti se non fosse attivato l’intervento agevolativo.

Per la forma tecnica della Garanzia del Credito invece, il vantaggio è duplice ed impatta sia sull’impresa che sull’Istituto di credito. Per l’impresa il beneficio si riflette in una diminuzione del tasso di interesse ed in una sostanziale riduzione delle garanzie richieste.

Per la banca invece, il beneficio è rappresentato dalla possibilità di ridurre gli accantonamenti di capitale sul finanziamento richiesto in quanto nel caso di mancato rimborso del finanziamento interviene la garanzia concessa dallo Stato o da Confidi.

Signorini conclude affermando che “la teoria economica ci insegna che un sistema finanziario diversificato e un’equilibrata composizione delle fonti di finanziamento delle imprese possono contribuire in modo efficace alla crescita dell’economia. Le politiche pubbliche, nazionali e comunitarie, possono svolgere un ruolo fondamentale di stimolo al cambiamento, se intervengono efficacemente sulle distorsioni della regolamentazione e forniscono i corretti incentivi agli operatori del settore privato”.

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